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Un figlio diviso a metà

“Un figlio diviso a metà” Salomonicamente parlando! La Corte d’Appello di Brescia
interviene e chiarisce che “se pure non si chiama PAS” il comportamento alienante di un
genitore verso l’altro, è sicuramente a danno del figlio, può arrivare a rendergli la vita
“impossibile” oltre che a dargli vera sofferenza, in totale dispregio del suo diritto ad una
crescita sana ed equilibrata e come tale va individuato ed impedito, proprio per la tutela del
minore.


Considerazioni di diritto.
“Il fatto che altri esperti neghino il fondamento scientifico di tale sindrome non significa che essa
non possa essere utilizzata quanto meno per individuare un problema relazionale molto frequente
in situazione di separazione dei genitori, se non come una propria e vera malattia.”
Questa, in sostanza, la valutazione principale intorno a cui ruota l’intero decreto e tutti i
ragionamenti attivati dalla Corte di Brescia.
Di fatto un’opinione del tutto condivisibile dal momento che spesso, forse troppo, siamo abituati
a ragionamenti contorti che si perdono nei meandri del diritto o delle decisioni giurisprudenziali,
pur di non vedere ciò che è lapalissiano, pur di non voler considerare come “inammissibili” certi
comportamenti per il solo fatto che qualcuno li ha definiti o chiamati con un termine, di fatto
inesistente o non comunemente riconosciuto, arrivando, per ciò stesso, a negarli.
Come la favola del re nudo… per convenzione, per ossequio, per falsa piageria nei confronti del
Re, tutti erano indotti a Vedere ciò che non c’era… un vestito! Solo chi, con disarmante senso della
verità e senza schermi o pudori o falsa rappresentazione di ciò che poteva essere giusto o meno
dire, ebbe il coraggio o, secondo alcuni : ”l’ardire” di dire la verità, in realtà fu ricompensato per
tale sua naturale purezza : il re era nudo e non aveva indosso alcun vestito!
La stessa serenità e lo stesso senso della “verità” ha manifestato la Corte di Brescia che, di fatto,
ha detto quanto molti vedevano ma non avevano il coraggio di dire, cioè che, al di là delle
definizioni scientifiche di un certo comportamento, comunque le reazioni di quel bambino, al
limite dell’assurdo e comunque non “naturali e serene”, rappresentavano sicuramente una summa
di problemi legati al rapporto con un genitore, il padre, e determinati dal comportamento
dell’altro genitore: la madre.
Non v’è chi non veda quanto “il plagio”, quello che generalmente e volgarmente viene definito
“lavaggio del cervello”, scientificamente detto “indottrinamento” possa, di fatto, essere lesivo
della libertà di pensiero e di autodeterminazione e quanto danno comporti nelle relazioni tra un
genitore ed un figlio.
Un bambino che viva la maggior parte del tempo con uno dei due genitori ma che, al di là della
quantità di tempo con questi vissuto, sia particolarmente legato e condizionato dalle parole e
dall’affetto, spesso morboso, di tale genitore, solo difficilmente potrà elaborare una propria
opinione sul modo di essere e di fare dell’altro genitore dal momento che, per forza di cose, sarà
condizionato ed influenzato da quello che sarà stato detto e dal comportamento avuto dal
genitore convivente rispetto all’altro.

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Come diceva Aristotele, la mente di un bambino è, all’origine, una “tabula rasa” sulla quale si
imprimono le informazioni che diventano “esperienze” che rimarranno stampate “a fuoco” come
sulla cera e andranno a costituire, nel corso degli anni, il proprio bagaglio di conoscenza e di
ricordi.
Questo è quello che può fare il comportamento di un genitore, anche in buona fede, ma
fortemente condizionante, nella mente del figlio quando, magari senza dolo, parli del “padre”
come di una persona negativa, o peggio quando lo descriva come un uomo inaffidabile o cattivo o
violento o quant’altro si possa dire contro l’ex compagno, padre (o madre) del proprio figlio.
Ciò che si otterrà, indipendentemente dalla volontà precisa di ottenerlo, sarà la “demolizione”
della figura paterna (o materna) agli occhi del bambino il quale, pur non volendo, sarà
condizionato da quanto ha sentito o visto e non potrà fare a meno di attivare una serie di “difese”
sia nel suo interesse sia rispetto al genitore solo apparentemente “più debole” perché ritenuto
tale.
Chiunque si dovesse trovare nelle condizioni di quel bambino agirebbe proprio come il bambino
di Cittadella, sarebbe sicuramente indotto a salvare innanzitutto se stesso dalla presunta,
minacciata, violenza dell’altro genitore, e poi a salvare anche lo stesso genitore “prevalente” o che
ha il maggior controllo della sua vita, dal momento che istintivamente, sapendo quanto “dolore” o
“dispiacere” questi, almeno apparentemente, sia costretto a subire, troverebbe naturale la più
logica delle reazioni cioè il rifiuto di qualsiasi forma di contatto con l’altro genitore… “il cattivo”
per intenderci.
Le figure genitoriali non sono “parole” o “concetti” astratti ma, al contrario, padre e madre sono
sostantivi polivalenti dal significato complesso e articolato e nient’affatto rappresentativi della
stessa funzione!
Per un bambino che abbia viventi i due genitori non è affatto naturale dover rinunciare all’uno o
all’altro dal momento che nessuno dei due si può considerare “di troppo”…
Un padre così come una madre danno, ognuno per quello che istintivamente e naturalmente
sono portati ad essere e rappresentare, una ricchezza di contenuti, di vita, di esperienze e di modi
di vedere le cose in maniera diversa, entrambi necessari, insostituibili e non intercambiabili. Ciò
che può trasferire un padre in termini di sicurezza, di regole di vita, di superficialità… quella giusta
però, intesa come “leggerezza” nell’affrontare certe esperienze o nel vivere certi momenti anche
di svago, è sicuramente diverso da ciò che dà e garantisce una madre più attenta ai doveri, alla
moralità e alla sollecitazione al senso di responsabilità.
La visione della vita è ambivalente, nel senso che i due genitori si completano a vicenda e
insieme, anche se non contemporaneamente o sotto lo stesso tetto, trasmettono al figlio valori e
forza e capacità di saper affrontare la vita e scegliere il giusto mezzo, per garantirgli equilibrio e
coraggio al tempo stesso, di cui un figlio cresciuto da un solo genitore più difficilmente potrebbe
beneficiare visto che, per quanto si possa tentare di compensare il vuoto, l’assenza dell’altro è un
vuoto difficilmente colmabile.

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Detto questo è appena il caso di far notare come, dopo un gran discutere, contestare o
condividere la sentenza della Corte di Cassazione sul caso di specie, e dopo aver riconsiderato
quanto in essa scritto sul punto PAS e sulla sua attendibilità e cioè che: “…sarebbe stata la errata
diagnosi di PAS, stato patologico inesistente, a scatenare il conflitto tra i genitori e a diventare essa stessa
causa del conflitto, moltiplicando la drammaticità della situazione in cui vi sarebbe , senza alcuna prova, un
genitore vittima ( genitore bersaglio) di un genitore criminale ( genitore alienante) ed un figlio affetto da
psicopatologia” un dubbio sorge spontaneo: e se il re fosse nudo?
Si ha la netta sensazione che a furia di motivare, spiegare, giustificare o colpevolizzare questa o
quella opinione, di fatto si stia tralasciando il punto più importante di tutta la vicenda, cioè: il bene
del bambino, diventato “oggetto” ed “arma” nelle mani (e nei telefonini!) di questo o quell’adulto,
di cui sembra quasi che nessuno si interessi a fondo.
Soprattutto sembra che le condizioni di vita e le decisioni, anche nell’ambito delle proprie
esperienze scolastiche, non sia lui ad assumerle, ma piuttosto che lui, nonostante la sua tenera
età, sia costretto a subìre le scelte spesso “scellerate” degli adulti, per dimostrare a se stessi e al
mondo di essere “i più forti”, i “vincenti” senza alcun riguardo per quello che al bambino interessa
o piace fare o preferisca vivere.
Eppure non sembra chiedere molto se si sollecita una riflessione su quelle che sono le
conseguenze delle decisioni dei genitori rispetto a questo bambino.
E’ stato diverse volte ascoltato dai Servizi Sociali, ha visto un padre ed una madre litigare e quasi
con violenza affermare la propria priorità educativa su di lui, ha subìto diversi trasferimenti da un
istituto scolastico ad un altro, quindi ha cambiato amici, insegnanti di riferimento, sport, giochi e
soprattutto “COMPAGNI DI GIOCHI”…Ha dovuto adattarsi a dormire in letti diversi non potendo
dire di avere una sua camera, l’angolo di mondo fuori dal quale si ha bisogno di lasciare “il mondo
intero”, anche i genitori in alcuni momenti di crescita interiore. Ebbene a questo bambino, nella
corsa affannosa al traguardo del “più forte”, i genitori e tutti coloro che sono stati da questi
interpellati o che sono intervenuti per causa loro, ebbene tutti costoro gli hanno stravolto la vita.
Ci si domanda, poi, se questo bambino possa aver avuto conseguenze dalle scelte di coloro che,
solo “a parole”, hanno inteso fare il suo bene???
Com’è possibile che si dubiti di ciò?
Proviamo a saperne di più sull’oggetto del contendere che poi, si è confermata esistere
indipendentemente dalla sua definizione o dal suo riconoscimento in sede scientifica, per il solo
fatto di ESISTERE come concause scatenanti determinate reazioni : la P.A.S. o Sindrome da
Alienazione Parentale.
Il dr. Marco Casonato, psicologo intervenuto nel mese di Aprile 2013 ad una giornata formativa
organizzata dall’Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia, Sezione di Salerno, è stato
consulente in vari procedimenti che ne hanno trattato, e la definisce partendo dalla disamina del
concetto di Mobbing per dimostrare come, a suo avviso, escludere la PAS dal DSM 5 ( Manuale
Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali ) non vuole significare necessariamente che essa non

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esista, in quanto negarle la valenza di “patologia” non equivale a “negarne l’esistenza” come
manifestazione di un grave disturbo del comportamento.
Egli scrive: “Pare di poter iniziare questa disamina dalla tesi di Giordano.. che introduce la
nozione di Mobbing genitoriale… la nozione di mobbing infatti comprende almeno quattro parti:
un contesto ambientale, un attore, dei veicoli, una vittima….
Altrettanto vale per il mobbing sul lavoro: un ambiente di lavoro malsano, un dirigente ostile e
paranoide, degli alleati tra impiegati e colleghi, un lavoratore vittima.
La Sindrome di alienazione parentale parrebbe in effetti sovrapponibile con le condizioni citate:
un contesto giudiziario malsano, un genitore ostile e paranoide, un branco di alleati (tra cui il
bambino), un oggetto dell'attacco (un ex coniuge).
Ha senso "ridurre" la PAS al mobbing?
Concordiamo in parte: la PAS come sindrome non è una malattia psichiatrica che "sta nella
testa" e deve essere valutata sia nelle dinamiche intrafamiliari che in quello che viene chiamato
esosistema (rapporti tra l'individuo e l'ordinamento) e macrosistema (tempo, storia, leggi e
cultura).
Per rispondere al quesito lasciateci considerare una terza condizione: lo Stalking o molestie
persecutorie come da novella del Codice penale.
Lo stalking prevede un persecutore ed un perseguitato, un contesto socio-familiare, delle
dinamiche di coppia (anche se talora la vittima non conosce il suo persecutore).
Anche lo stalking non è una "malattia che sta nella testa" ne' della vittima, ne' del persecutore.
Le tre condizioni non compaiono come tali in nessun DSM degli ultimi 20 anni, la ragione è
semplice, nessuna delle tre condizioni è "una malattia che sta nella testa" e i DSM considerano
invece tendenzialmente solo ed esclusivamente "malattie che stanno nella testa" che si possono
trattare con una sostanza medicamentosa che si introduce nel corpo all'uopo.
Dovrebbero avere un posto tutte nel DSM 6 ?
Se la concettualizzazione sottostante ai DSM non cambierà nei prossimi 10-20 anni
probabilmente non vi troveranno posto, perché appunto nessuna condizione delle citate è una
"malattia che sta nella testa".
Ciò implica che Stalking, PAS, Mobbing non esistano? Evidentemente no: semplicemente il DSM 5
non elenca compiutamente queste condizioni perchè non sono "malattie che stanno nella testa".
Concludendo sulla proposta di Giordano (2012): non ci pare opportuno "ridurre" la PAS a
Mobbing, ne' più ne' meno che ridurre il Mobbing allo Stalking, …ne' d'altra parte si può affermare
che le due condizioni siano la medesima condizione.
La evidente somiglianza (da cui il ragionamento per analogia) deriva dal fatto che le citate
condizioni paiono appartenere ad una medesima ampia categoria di cui esse sono semmai
sottocategorie e pertanto condividono diverse caratteristiche tra loro tra cui il fatto rilevante ai fini
dei criteri di inclusione dei DSM attuali di "non essere nella testa".
Senza esaminare ulteriormente la Sentenza della Cassazione, prima, che ha negato l’opportunità
di una decisione fondata su una Sindrome inesistente, e il Decreto della Corte d’Appello di Brescia,
poi, che chiarisce l’importanza di un provvedimento articolato di tutela del figlio,
indipendentemente dalle definizioni scientifiche del suo disturbo, si sente la necessità di ricordare,
innanzitutto alla scrivente, che la famiglia è nel contempo il luogo più sicuro e accogliente possibile

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ma, in situazioni patologiche o conflittuali, diventa la trappola peggiore e più pericolosa nella
quale poter costringere chi in essa cresce e ad essa si affida : il figlio.
E’ cronaca del nostro tempo la violenza intrafamiliare che, statisticamente (pur non amando le
statistiche) è la sede più frequente della violenza a danno delle donne e, in genere, dei soggetti più
deboli.
E’ sicuramente il soggetto debole per eccellenza, il figlio, colui che cresce in una famiglia e
aspetta di ricevere, avendone il diritto, gli strumenti per diventare adulto e per spiccare il volo e
guadagnarsi il proprio ruolo e la propria dignità sociale in una società che lo riconosca parte di se.
Non consentire ad un bambino di sviluppare la propria autonomia e la propria capacità critica e
negargli il diritto agli affetti naturali, cioè a quelli che più e prima di tutti gli altri lo aiuteranno a
diventare un uomo (o una donna) maturo e realizzato oltre che un soggetto capace di dare amore
avendolo ricevuto in maniera sana, equivale a negargli un’esistenza serena e soprattutto
un’infanzia a cui fare riferimento in termini di ricordi piacevoli, nei momenti di sconforto, e in
termini di esperienza, per quando anche lui sarà genitore e avrà bisogno di trasferire insegnamenti
attingendo ai ricordi del passato.
In parole povere gli avremo rubato “un futuro sereno” e rovinato per sempre il “passato” che,
seppure fosse cancellato dalla sua mente, rimarrà stampato a fuoco nella sua anima.
Un figlio non si divide, Salomonicamente, a metà né può essere privato, avendoli entrambi, di
uno dei genitori per motivi che prescindono dal suo reale interesse o diritto.
Un figlio si “condivide” nel suo interesse, nonostante ogni rancore, per aiutarlo a crescere e per
dargli la forza di vivere!

Avv. Maria Teresa de Scianni

Studio legale Salerno, Via Settimio Mobilio 111, 84127. 

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