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E divorzio breve sia

Lo scorso 22 Aprile 2015, è passata in via definitiva alla Camera la riforma tanto attesa sul
cosiddetto “divorzio breve”.
In pratica da oggi, anche per le separazioni ancora in corso come per quelle definite già
con omologa (se consensuali) o con sentenza (se giudiziali) sarà possibile chiedere il
divorzio qualora siano decorsi 6 mesi dalla comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente
del Tribunale, per le separazioni consensuali, oppure decorso un anno dalla stessa
udienza, per le separazioni giudiziali, indipendentemente dalla presenza o meno di figli.
Questa è di certo una conquista di libertà e di civiltà che tuttavia non è stata agevolata, nel
tempo, da chi ha sempre considerato la famiglia come un’istituzione “sacra e inviolabile” e,
come tale, inscindibile.


In realtà anche per noi cattolici, non faccio mistero del mio credo, non era di poco conto il
fatto che, in tutte le vicende familiari in cui per necessità, disperazione, o anche
semplicemente perché non c’erano più i presupposti di rispetto e di condivisione reciproca,
si addiveniva ad una scelta separativa, bisognava fare i conti, poi, con i tempi lunghi della
giustizia.
Da Avvocato di famiglia che da oltre 25 anni svolge questa nobile professione quasi
esclusivamente occupandosi di Diritto di Famiglia e Minorile, posso dire senza tema di
smentita che pochissime volte, sui numerosi casi trattati, le coppie separate ci hanno poi
“ripensato” ed hanno ripreso la loro relazione coniugale in una ritrovata o rinnovata
serenità e condivisione di vita.
Quasi il 90% delle separazioni che mi sono trovata a tutelare e rappresentare sono
rimaste tali e molte di loro, poi, hanno fatto accesso al divorzio.
Sì perché forse non tutti sanno che si può rimanere “separati a vita”… senza mai
sciogliere definitivamente il legame coniugale continuando, di fatto, ad essere “coniugi”
benché autorizzati a vivere separatamente, con distinti redditi e vite sentimentali, ma uniti
“per sempre” rispetto ai figli e ai loro diritti al mantenimento e alla frequentazione di
entrambi i genitori, finché previsto dalla legge.
Sulla scorta di tale preliminare considerazione e dato di fatto, mi sento di poter dire che i
tre anni, necessari per addivenire alla possibile richiesta di divorzio, non hanno mai
convinto nessuno, o quasi, a ripensarci e a ritornare sui propri passi; piuttosto sono stati
fonte di discussione o di ripensamento circa i contributi riconosciuti e la disciplina dei
reciproci diritti e doveri tra i coniugi stessi e tra questi ed i figli.
In sostanza non sempre il tempo è passato indolore, e soprattutto senza lasciar traccia di
se; molto spesso è servito solo a raggiungere un equilibrio “nella separazione” più che a
far riflettere sulla opportunità di ripensare ad una nuova vita di coppia insieme.
Dunque, se stanno così le cose, allora ben venga il divorzio breve! Sei mesi (se
consensuale) o un anno (se giudiziale) sono sufficienti per trovare una migliore definizione
dei rispettivi rapporti familiari, sulla scorta delle nuove previsioni che sono state scelte dai
coniugi nell’accordo o suggerite dal Presidente con i suoi provvedimenti.
Non dimentichiamo che i termini di cui alla nuova legge sono soltanto quelli “minimi”
previsti, il che vuol dire che le coppie “possono” chiedere il divorzio dopo 6 mesi o un

anno, “non devono”, per cui, se ne avessero bisogno, nulla toglie o vieta loro di prendersi
più tempo per riflettere e sistemare al meglio i nuovi rapporti familiari e patrimoniali.
“L’Italia era rimasta tra gli ultimi Paesi che ancora prevedeva un lungo periodo di tempo tra
la domanda di separazione e quella di divorzio il che comportava, troppo spesso, la triste
quando miserrima prassi del “turismo da divorzio” che consentiva alle coppie, prendendo
la residenza temporanea per esempio in Olanda, Belgio, Stati Uniti, Gran Bretagna o
Germania, di ottenere il divorzio in pochi mesi. In Romania, Spagna e Bulgaria oggi sono
sufficienti meno di 48 ore per ottenere una sentenza di divorzio pienamente riconosciuta
anche in Italia sulla base del regolamento europeo sulle cause matrimoniali n. 2201/2003.
In Finlandia, in Svezia e in Austria non è prevista una causa di separazione prima di quella
di divorzio, mentre in Francia, Germania e Spagna la separazione non costituisce
condizione essenziale per chiedere il divorzio, per cui è sufficiente la separazione di fatto
per un determinato periodo di tempo. In Svezia la richiesta di divorzio è automaticamente
e immediatamente accettata se a presentarla sono entrambi i coniugi, mentre se uno dei
due coniugi si oppone possono essere necessari alcuni mesi. In Spagna, con
l’introduzione nel 2005 del «divorzio espresso», esiste la possibilità di divorziare
unilateralmente e in modo immediato.” (GF Dosi, su Lessico di Diritto di Famiglia)
A ben vedere eravamo rimasti forse gli unici a prevedere ancora una “pausa di riflessione
tanto lunga” tra i due momenti esaustivi della convivenza matrimoniale, e le cause
andrebbero ricercate in più motivazioni, non ultimo il fatto che l’Italia ospita comunque un
altro Stato, il Vaticano, che pur sempre con maggiore forza di quanto potesse fare altrove,
ha sempre influenzato e fatto sentire la sua Voce e il suo monito alla tutela e salvaguardia
della Famiglia.
Non che ciò sia sbagliato, sia chiaro, ma di certo non ha agevolato una riflessione scevra
da influenze importanti e non sempre lucide e laiche valutazioni di diritto, se sol si
considera quanto su detto, e cioè che il tempo non ha mai, o quasi mai, agevolato una
riconciliazione.
Il legislatore, in realtà, già da diverso tempo ha solcato i mari della riforma del diritto di
famiglia nel senso di una maggiore semplificazione delle procedure separative, e noi
giuristi del settore ben lo sappiamo avendo dovuto cambiare più volte, a distanza di pochi
mesi o al massimo un anno, i codici di diritto civile e di procedura civile, per essere
aggiornati sulle novità di volta in volta attuate.
Da ultima è arrivata la riforma sulla “negoziazione assistita” (introdotta con l’ art. 12 del
decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 come modificato dalla legge di conversione n.
162/2014), che affida ai soli avvocati la possibilità di raggiungere e siglare un accordo di
separazione consensuale e farlo trascrivere nei registri dello Stato Civile sottoponendolo al
vaglio del PM presso il Tribunale di competenza con un controllo più formale che
sostanziale.
Ciò fa indubbiamente riflettere sulla volontà legislativa di deflazionare la giustizia e le aule
dei tribunali oltre che rendere più fruibile e vicina all’italica gente il diritto civile e le sue,
ancora fin troppo, rigide regole e formalità ai fini del riconoscimento di un diritto.
A tal proposito è appena il caso di evidenziare un’altra novità introdotta con la legge in
commento (ricordiamo che non è stata ancora pubblicata in Gazzetta Ufficiale), e cioè la
circostanza, non di poco conto, che il regime di comunione legale dei beni “si scioglie e si
trasforma in regime di separazione legale” a partire dalla comparizione dei coniugi di

fronte al Presidente del Tribunale, cioè dalla prima udienza dopo la presentazione del
ricorso, sia esso giudiziale o consensuale.
Questa novità è importante in quanto come sappiamo, in caso di separazioni giudiziali, i
coniugi in comunione dei beni mantenevano tale regime patrimoniale fino all’emissione
della sentenza, a volte per molti anni, pur cessando tra essi la convivenza perchè
autorizzati dal giudice e pur mantenendo regimi contributivi e di acquisizione del
patrimonio oramai separati.
In pratica se pur separati, qualora in corso di giudizio, i coniugi che si trovavano in regime
di comunione dei beni non potevano acquistare niente che non cadesse comunque in
comunione, benché di fatto vivessero in abitazioni distinte e avessero vite separate.
“Secondo la nuova legge l’ordinanza presidenziale che autorizza i coniugi a vivere separati
deve essere comunicata all’ufficiale di stato civile per l’annotazione dello scioglimento del
regime legale (ex art. 69 del DPR 396/2000, ordinamento dello stato civile). In caso di
ricongiungimento si avrà anche il ripristino tra i coniugi del regime di comunione (Cass.
18619/2003; Cass. 11418/1998) a condizione, però, per evidenti ragioni di pubblicità nei
confronti dei terzi, che ne sia fatta dichiarazione all’ufficiale di stato civile che ne curerà
l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio (come prevede espressamente l’art. 69,
lett. f, del DPR 396/2000)”. (Dosi in Lessico di Diritto di Famiglia)
Dunque prendiamo atto di una scelta di libertà e di civiltà, come ho esordito, e facciamo,
piuttosto, un’ultima riflessione.
Divorziare è finalmente diventato piuttosto semplice, forse sarà anche meno oneroso, ma
ciò vorrà dire che ci si potrà arrivare con animo più “leggero” e senza scrupoli?
Ritengo proprio di no, o almeno credo che proprio a maggior ragione, vista la più facile
“chiusura” di un impegno assunto “per amore”, bisognerà riflettere sull’importanza di
arrivare al matrimonio con maggiore consapevolezza e maturità.
Quello che sento il dovere di dire è che non è importante il momento in cui finisce e come
finisce il cammino, quanto lo è, invece, il cammino stesso e la scelta di percorrerlo nel
migliore dei modi.
La vita ha senso se ogni giorno ha un valore e lascia un segno e la consapevolezza di non
averlo vissuto invano. Mai come in questo momento di crisi dei valori e di “insostenibile
leggerezza” dei rapporti umani, è indispensabile una presa di coscienza e una valutazione
matura e ponderata degli effetti delle proprie scelte perché, appunto, chiudere sarà pur
facile, ma le conseguenze non sempre sono “tamquam non esset”… inesistenti… , quasi
sempre, infatti, ci sono figli e famiglie che di quelle scelte ne subiranno le conseguenze e
ne pagheranno lo scotto per tutta la loro vita.
Dunque ora, più che prima, bisognerà riflettere sul senso di un percorso che sarà pur
facile chiudere sul nascere ma che di certo darà più soddisfazione e forza interiore se sarà
stato vissuto con impegno, determinazione e amore, non perché obbligati dallo Stato, non
perché condizionati da un credo, ma perché convinti per amore di aver fatto la scelta
migliore!

Avv. Maria Teresa de Scianni

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